Home restaurant e app di social eating: le regole

di Avv. VALENTINA COPPARONI

Vuoi aprire un’attività di Home restaurant e non sai come muoverti nella giungla di regole? Vuoi sviluppare una app di social eating, ma temi conseguenze legali?

L’home restaurant non è altro che un’attività, svolta anche in maniera del tutto occasionale, che offre l’opportunità -attraverso un contatto on line grazie a piattaforme o app dedicate – di offire un pranzo, una cena un aperitivo o comunque un pasto in abitazioni o comunque location private a ospiti personali ma paganti.

L’approccio nei confronti di tale nuovo settore in rapida forte espansione oscilla tra totale o quasi totale mancanza di conoscenza e/o disinteresse (a volte del tutto incosciente ed inconsapevole delle conseguenze cui ci si potrebbe esporre) delle norme, anche locali, e buone prassi che comunque esistono e delineano una disciplina seppur non uniforme sul territorio nazionale e, dall’altra parte, un (forse) eccessivo rigorismo che limita fortemente di fatto la volontà di chi si voglia approcciare a questà attività sia come gestore delle piattaforme in cui domanda ed offerta si incontrano sia come “fornitore” vero e proprio del servizio ossia chi di fatto decide di aprire le porte della propria abitazione.

Ma andiamo per ordine.

In Italia il c.d. home restaurant non è (ancora) regolamentato con precisione da alcuna legge perchè vi sono stati alcuni progetti di legge presentati in Parlamento (da ultimo nel 2018) per una regolamentazione organica che ad oggi, però, non sono stati approvati anche a causa della bocciatura dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.


E’ evidente e chiaro, in ogni caso, che il quadro normativo e di disciplina  è destinato con certezza a modificarsi nel tempo (più o meno lungo) perchè la strada è comunque sicuramente aperta e condivisa da più fronti verso una (necessaria) regolamentazione precisa ed organica di un settore ormai sempre più in diffusione e secondo alcuni – i più critici- in maniera del tutto troppo incontrollata.

Fatta questa doverosa premessa, la disciplina che andiamo a descrivere si ricava da tutta una serie di atti per lo più di natura amministrativa (tra cui circolari del Ministero della Salute, Risoluzioni del Ministero dello Svilluppo Economico, risposte di questi Enti a richieste di pareri da parte di Comuni, Camere di Commercio interpellate sul punto dai cittadini etc) ma anche a livello europeo che sono stati ritenuti applicabili anche a questo settore al fine di individuare e ipotizzare norme di condotta legittime e prudenti al fine di evitare sanzioni o comunque possibili problematiche sotto vari profili.

E’ altrettanto opportuno precisare che il quadro normativo deve essere necessariamente integrato con le specifiche previsioni regionali e comunali che dovranno essere prese puntualmente richieste e prese in considerazione prima di intraprendere attività di questo tipo contattando lo Sportello Unico Attività Produttive (SUAP) del comune di residenza.

Il Ministero dello Sviluppo Economico in più occasioni è stato interpellato in materia di avvio di c.d. home restaurant e si è dimostrato sempre molto rigoroso.
Ha risposto in maniera chiara che questa attività, anche se esercitata solo in alcuni giorni ed anche se i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono a numero limitato, quando è rivolta d un pubblico indistinto (ad esempio mediante pubblicità su siti web o simile e quando non è del tutto occasionale), non può che essere classificata come attività di soministrazione di alimenti e bevande. E ciò anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti di fatto con il domicilio del cuoco perchè detti locali comunque e rapprresentano locali aperti ad una clientela.


Ciò significa, in parole più concrete, come precisato sempre dal Ministero per lo Sviluppo Economico (cfr. nella risoluzione n. 493338 del 6/11/2017), che l’attività in questione, rientrando comunque in quelle di somministrazione di alimenti e bevande:

 può essere esercitata solo da chi possiede i requisiti di onorabilità e professionalità di cui al d.lgs.. 159/11 (normativa antimafia) nonchè quelli di cui all’art. 71 del d.lgs. n. 59/2010 (che di solito sono dichiarati sotto propria responsabilità con una autocertificazione). Quest’ultimi si riportano di seguito per maggiore e fruibile comprensione:

“1. Non possono esercitare l’attività commerciale dì vendita e di somministrazione:

a) coloro che sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione;

b) coloro che hanno riportato una condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo, per il quale è prevista una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni, sempre che sia stata applicata, in concreto, una pena superiore al minimo edittale;

c) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna a pena detentiva per uno dei delitti di cui al libro II, Titolo VIII, capo II del codice penale, ovvero per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione;

d) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro l’igiene e la sanità pubblica, compresi i delitti di cui al libro II, Titolo VI, capo II del codice penale;

e) coloro che hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali;

f) coloro che sono sottoposti a una delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o nei cui confronti sia stata applicata una delle misure previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ovvero a misure di sicurezza;

2. Non possono esercitare l’attività di somministrazione di alimenti e bevande coloro che si trovano nelle condizioni di cui al comma 1, o hanno riportato, con sentenza passata in giudicato, una condanna per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, per delitti commessi in stato di ubriachezza o in stato di intossicazione da stupefacenti; per reati concernenti la prevenzione dell’alcolismo, le sostanze stupefacenti o psicotrope, il gioco d’azzardo, le scommesse clandestine, nonché per reati relativi ad infrazioni alle norme sui giochi.


3. Il divieto di esercizio dell’attività, ai sensi del comma 1, lettere b), c), d), e) ed f), e ai sensi del comma 2, permane per la durata di cinque anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata. Qualora la pena si sia estinta in altro modo, il termine di cinque anni decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza, salvo riabilitazione.

4. Il divieto di esercizio dell’attività non si applica qualora, con sentenza passata in giudicato sia stata concessa la sospensione condizionale della pena sempre che non intervengano circostanze idonee a incidere sulla revoca della sospensione.

5. In caso di società, associazioni od organismi collettivi i requisiti morali di cui ai commi 1 e 2 devono essere posseduti dal legale rappresentante, da altra persona preposta all’attività commerciale e da tutti i soggetti individuati dall’articolo 2, comma 3, del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252. In caso di impresa individuale i requisiti di cui ai commi 1 e 2 devono essere posseduti dal titolare e dall’eventuale altra persona preposta all’attività commerciale.

6. L’esercizio, in qualsiasi forma e limitatamente all’alimentazione umana, di un’attività di commercio al dettaglio relativa al settore merceologico alimentare o di un’attività di somministrazione di alimenti e bevande è consentito a chi è in possesso di uno dei seguenti requisiti professionali:

a) avere frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio, la preparazione o la somministrazione degli alimenti, istituito o riconosciuto dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano;

b) avere, per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, esercitato in proprio attività d’impresa nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande o avere prestato la propria opera, presso tali imprese, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all’amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o in altre posizioni equivalenti o, se trattasi di coniuge, parente o affine, entro il terzo grado, dell’imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all’Istituto nazionale per la previdenza sociale;

c) essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti.

6-bis. Sia per le imprese individuali che in caso di società, associazioni od organismi collettivi, i requisiti professionali di cui al comma 6 devono essere posseduti dal titolare o rappresentante legale, ovvero, in alternativa, dall’eventuale persona preposta all’attività commerciale.”

esige la presentazione di una SCIA (Segnalazione certificata di Inizio attività) al proprio Comune di residenza qualora si svolga in zone non tutelate o previa richiesta di un’autorizzazione ove trattasi di attività svolta in zone tutelate (ad esempio centri storici ed altri classificati tali dal Comune di riferimento);

 l’assoggettamento dell’attività in questione alla disciplina della somministrazione di alimenti e bevande comporta anche la soggezione ai controlli e agli eventuali poteri sanzionatori e interdittivi dell’Autorità di pubblica sicurezza.

E’ evidente che questa impostazione cosi rigorosa, espressa anche per attività svolte in maniera occasionale, potrebbe certamente e chiaramente limitare e scoraggiare l’approccio ma, dall’altra, parte provenendo da una fonte qualificata come un Ministero (cui si rivolgono di fatto i singoli Comuni o Camere di Commercio quando sono investiti da dubbi o richieste su questa tema) non può nè deve essere sottovalutata soprattutto quando ci viene richiesto di offrire un parere legale.

Un altro punto importante, molto discusso e su cui vi è notevole confusione, riguarda l’igiene degli alimenti cucinati all’interno dell’home restaurant.

Dal momento che il MISE considera questa un’attività di somministrazione di alimenti e di bevande al pubblico, l’home restaurant risulta (almeno ad oggi) sottoposta alla disciplina nazionale e al Regolamento (CE) del Parlamento Europeo e del Consiglio sull’igiene dei prodotti alimentari n. 852/2004 perchè gli unici casi in cui detto regolamento non si applica sono a) la produzione primaria per uso domestico privato; b) la preparazione, alla manipolazione e alla conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico privato.

Esonerati, quindi, dall’obbligo di rispettare le norme igieniche in materia di alimenti , a rigorosa interpretazione delle norme, sono solo i privati che cucinano per se stessi, non se lo fanno per “il pubblico”, piccolo o esteso che sia. Questo perché il cuoco, anche se cucina in casa propria, è a tutti gli effetti un operatore del settore alimentare e in quanto tale tenuto all’applicazione generalizzata di procedure basate sui  principi del sistema HACCP unitamente al rispetto di una corretta pratica igienica (art. 1,comma 1, lettera d) Reg. n. 852/2004 CE).

Sul punto fino a maggio 2017, lo scenario era ulteriormente offuscato dalla mancanza di una modulistica che contemplasse espressamente l’attività di home restaurant e di produzione laboratoriale domestica. Da luglio 2017 è operativa la nuova modulistica unificata standard per SCIA e notifica, uguale e obbligatoria per tutti i Comuni. La nuova Notifica sanitaria riporta anche la voce “Home restaurant” all’interno della tipologia “Ristorazione”, mentre per le produzioni laboratoriali domestiche, nella modulistica unica è presente la voce “Produzione di alimenti in cucina domestica (home food)”.

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In sintesi, cercando di ricapitolare e schematizzare, senza pretesa di esaustività vista la complessità della materia e gli sviluppi tutti in divenire, chiunque avesse intenzione di approcciarsi all’attività di home restaurant con un condotta CONSAPEVOLE E CORRETTA anche e sopratutto nei confronti dell’utente finale (ovvero il consumatore) dovrebbe:

  •   verificare il possesso personale dei requisiti morali di cui al d.lgs 159/11 (normativa antimafia) ed agli att. 71 del d.lgs 59/10 e professionali di cui all’art. 71, comma VI, d.lgs 59/10, richiesti per svolgere attività di somministrazione di alimenti e bevande;
  •   verificare la conformità del locale cucina alle norme del regolamento edilizio comunale (quantomeno ad esempio che ci sia il rispetto sull’altezza e superficie minime);
  •   predisporre il modello di notifica sanitaria ai fini della registrazione di cui all’art. 6, Reg. CE n. 852/04 da inviare ai SUAP comunali;
  •   predisporre la Segnalazione Certificata di Inizio di Attività (SCIA) da presentare al Comune di residenza, qualora l’attività si svolga in zone non tutelate o richiedere l’autorizzazione, ove trattasi di attività svolta in zone tutelate;
    Un'interpretazione più rigorosa, a tutela dei consumatori, richiederebbe anche di:
  •   frequentare un corso di formazione in materia di preparazione e somministrazione

    di alimenti e bevande;

  •   predisporre una o più procedure permanenti basate sui principi del sistema

    HACCP;

  •   predisporre un sistema di tracciabilità degli alimenti per cui l’operatore dovrà

    registrare gli approvvigionamenti di materie prime in entrata indicandone natura,

    quantità, nome e recapito di fornitore, data di ricevimento;

  •   indicare gli allergeni per i cibi preparati e somministrati (in attuazione del

    Regolamento UE n. 1169/11 e secondo indicazioni del Ministero della Salute con circolare n. 3674/ 2015) e differenziare gli alimenti per uso privato da quelli per uso pubblico;

  •   comunicare al locale commissariato di P.S. che nella data abitazione si svolge attività di home restaurant.
  •   Consigliabile la stipula di una polizza assicurativa dell’immobile per eventuali danni a terzi e per responsabilità nell’attività svolta

    Per quanto riguarda, poi, l’aspetto fiscale:

  •   in caso l’attività sia svolta in maniera occasionale (si intende con ricavi lordi non

    superiori a 5.000 euro) non è necessaria una partita iva, né la corresponsione dei contributi INPS. Si rilascia una semplice ricevuta al cliente da contabilizzare poi ai fini della dichiarazione dei redditi con la precisazione che il reddito effettivo lordo sarà il risultato dalla sottrazione delle spese documentate dal totale delle ricevute;

  •   in caso di attività professionale o comunque non occasionale (si intende con reddito lordo superiore a 5.000 euro) servirà invece l’iscrizione al Registro delle Imprese, con relativa attribuzione di una partita IVA, l’iscrizione all’INPS (gestione commercianti) e all’INAIL.

    E’ doveroso  evidenziare che i progetti di legge che per ora son fermi ma che potrebbero comunque a breve confluire in una nuova legge da più parti sollecitata -che dovrà poi necessariamente essere rispettata quando approvata- prevederebbe addirittura in capo al GESTORE della piattaforma digitale in cui domanda ed offerta si incontrano, una serie di obblighi di verifica sugli operatori anche ai fini dell’iscrizione alla piattaforma digitale (relativamente ad esempio all’avvenuta stipula da parte degli utenti-cuochi di polizze assicurative per la copertura rischi derivanti dall’attività nonchè sul possesso dei requsiti da parte dell’utente-cuoco inseriti per legge) oltre a pagamenti della prestazione solo attraversi sistemi elettronici.

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Un ultimo aspetto, ma non meno importante.
Alcuni sostengono che togliendo l’aspetto del profitto (quindi del pagamento del pranzo, cena etc) verrebbero meno tutte queste regole.
In realtà noi non condiviamo questa impostazione e non lo facciamo sulla base dell’interpretazione delle norme che ci sono.
Innanzi tutto crediamo che sia chi gestisca le piattaforme che chi apra le porte della propria casa lo faccia per un seppur minimo ritorno economico (oltre che pubblicitario) ma, al di là di questo, le regole sono dettate non tanto o solo perchè si tratta di un’attività economica, seppur svolta in maniera del tutto occasionale, ma perchè ci si rivolge ad un pubblico indistinto (una o 100 persone che siano) e la tutela, anche della salute, di questo è ritenuta primaria, pena sanzioni di vario tipo.

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Il nostro parere, sulla base dello studio effettuato e sui rischi potenziali, è quello di approcciarsi allo sviluppo di questo genere di app e di attività di home restaurant in maniera il più possibile CONSAPEVOLE, per quanto le norme attuali lo permettano, senza farsi attrarre da quell’atteggiamento più facile sicuramente, ma troppo incosciente, in cui ci si imbatte spesso  in questo panorama, ma che potrebbe esporre voi e chi usufruisce della Vs app (offrendo comunque un servizio) a delle responsabilità.

Di fatto, in maniera occasionale o meno, chi apre le porte della propria abitazione deve sapere che esistono delle regole da rispettare.
Certamente questo potrebbe far scoraggiare e desistere ma, a nostro parere, stimolando un lavoro di squadra alcuni ostacoli potrebbero essere alleggeriti semplicemente perchè compresi.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI CONTATTATECI.

2 pensieri su “Home restaurant e app di social eating: le regole

  1. Buongiorno mi presento sono Manzo luisa e ho appreso un home Restaurant ma sto incontrando un sacco di difficile,vorrei avere d i chiarimenti

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