Bancarotta, no all’automatismo delle pene accessorie decennali

di AVV. GAETANO PAPA

Con sentenza n. 222, depositata il 5 dicembre 2018, la Corte Costituzionale ha stabilito che è incostituzionale la previsione di pene accessorie di durata fissadecennale (inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e incapacità di esercitare uffici direttivi nelle imprese) per tutti coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta.

È lo stesso comunicato dell’ufficio stampa della Corte di Cassazione che specifica che tale principio dicendo che è incostituzionale la previsione di pene accessorie di durata fissa decennale (inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e incapacità di esercitare uffici direttivi nelle imprese) per tutti coloro che siano condannati per bancarotta fraudolenta.

Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 222/2018 (estensore Francesco Viganò). Pene accessorie temporanee di durata fissa, come quelle previste dalla norma dichiarata illegittima, non sono compatibili – ha affermato la Corte – con i principi di proporzionalità e necessaria individualizzazione del trattamento sanzionatorio.

Poiché la gravità dei fatti qualificabili come bancarotta fraudolenta può essere in concreto assai diversa, un’unica e indifferenziata durata delle pene accessorie determina risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto ai fatti di bancarotta meno gravi.

D’ora in poi, quindi, nel condannare un imputato per bancarotta fraudolenta il giudice penale dovrà determinare discrezionalmente la durata delle pene accessorie che si aggiungono alla pena principale della reclusione.

La durata delle pene accessorie sarà stabilita caso per caso dal giudice, fino al tetto massimo di dieci anni ma senza più alcun automatismo, tenendo conto della concreta gravità del fatto commesso dall’imputato.

Resta ferma, ovviamente, la possibilità che la durata della pena accessoria sia maggiore di quella della pena detentiva.

La Corte ha infatti osservato che le pene accessorie hanno un minor grado di afflittività, e svolgono una funzione almeno in parte diversa, rispetto a quella delle pene detentive, essendo finalizzate a impedire al condannato di continuare le attività che gli hanno fornito l’occasione per commettere gravi reati.

La questione riguarda la legittimità delle norme citate (l’ultimo comma dell’art. 216 L. Fall. dispone che «salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa») nella parte in cui sanciscono la pena accessoria interdittiva della durata fissa di dieci anni,quale che sia la gravità in concreto del reato e l’entità della pena irrogata.

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