Congedo di paternità alla madre intenzionale: la Corte Costituzionale e l’interesse del minore

di AVV. TOMMASO ROSSI

Il 21 luglio 2025 la Corte Costituzionale ha depositato una pronuncia di grande rilievo in materia di diritti delle famiglie omogenitoriali femminili. Con la sentenza n. 115/2025, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. 151/2001 (Testo Unico maternità/paternità) nella parte in cui non prevede il congedo di paternità obbligatorio per una lavoratrice che sia genitore intenzionale in una coppia di donne registrate come genitori. In altre parole, d’ora in avanti anche la seconda madre – ossia la madre non biologica in una coppia di due donne – avrà diritto ai dieci giorni di astensione obbligatoria dal lavoro retribuiti al 100%, allo stesso modo del padre nelle coppie eterosessuali. La Corte ha ritenuto che la precedente esclusione violasse il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e il superiore interesse del minore, eliminando un’ingiustificata disparità di trattamento nei congedi parentali.

Il caso: una “seconda madre” esclusa dal congedo di paternità

La questione di legittimità costituzionale è nata nell’ambito di un contenzioso promosso dall’Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, con l’intervento di CGIL, contro l’INPS. Il caso riguardava una coppia di donne entrambe riconosciute come madri di un bambino (in quanto registrate nei registri dello stato civile italiano come genitori del minore). Nel 2022, in attuazione della direttiva UE 2019/1158 sull’equilibrio vita-lavoro, l’Italia aveva introdotto all’art. 27-bis del d.lgs. 151/2001 un congedo di paternità obbligatorio di 10 giorni, ma riservandolo testualmente solo al “padre lavoratore”. Di conseguenza, alla madre intenzionale – pur legalmente genitore del bambino – tale beneficio era stato negato.

Nel gennaio 2024 il Tribunale di Bergamo, investito della questione, aveva dato ragione a Rete Lenford, riconoscendo il carattere discriminatorio dell’esclusione della seconda madre dal congedo. L’INPS ha impugnato la decisione e la causa è giunta alla Corte d’Appello di Brescia, sezione Lavoro. Quest’ultima ha sollevato questione di costituzionalità sulla norma, ritenendola in contrasto con il principio di eguaglianza e di non discriminazione, poiché consentiva solo al padre di usufruire dei 10 giorni di congedo obbligatorio retribuito al 100%, escludendo la “seconda madre” nelle coppie di donne. Si trattava di verificare se una simile differenza di trattamento, basata sull’orientamento sessuale dei genitori e sul genere del genitore richiedente il congedo, fosse giustificabile oppure costituisse una violazione dei principi costituzionali.

Va notato che la direttiva europea 2019/1158 lasciava facoltà agli Stati membri (senza imporlo espressamente) di estendere il congedo di paternità obbligatorio anche a un “secondo genitore equivalente” qualora previsto dal diritto nazionale. Il legislatore italiano, nel recepire la direttiva con il d.lgs. 105/2022, si era limitato a confermare il congedo di paternità per i padri, senza considerare il caso delle coppie omogenitoriali. Ne è derivato un vuoto normativo rispetto alla realtà di famiglie composte da due madri, vuoto che ha costretto le coppie interessate a rivolgersi ai giudici per vedere riconosciuti diritti paritari. Emblematico è il fatto che, fino ad oggi, persino il portale telematico dell’INPS non consentiva l’inserimento di due madri come genitori nelle domande di congedo, bloccando di fatto ogni richiesta già nella fase di compilazione online. La vicenda in esame, dunque, si inquadra in una strategia di contenzioso mirata a rimuovere questi ostacoli formali che negavano diritti sostanziali alle famiglie omogenitoriali.

La decisione della Corte Costituzionale: parità di trattamento per le coppie di madri

Con la sentenza n. 115/2025 la Corte Costituzionale ha accolto la questione e affermato con chiarezza l’irragionevolezza della disparità di trattamento in materia di congedo parentale obbligatorio. Negare il congedo al genitore intenzionale, secondo la Consulta, crea una differenza priva di fondamento tra coppie genitoriali eterosessuali e coppie composte da due donne entrambe riconosciute come genitori di un minore. Tale disparità è stata giudicata «manifestamente irragionevole», dal momento che anche nelle coppie omogenitoriali si realizza a pieno titolo un comune progetto di genitorialità: le due madri condividono fin dall’inizio l’impegno di avere un figlio e assumono insieme la responsabilità genitoriale nei confronti del nuovo nato, esattamente come avviene per la madre e il padre in una coppia tradizionale. Entrambi i componenti della coppia, ha osservato la Corte, acquisiscono la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali alla cura ed educazione del bambino che l’ordinamento indissolubilmente collega alla responsabilità genitoriale.

La Corte ha sottolineato che l’orientamento sessuale dei genitori non incide in alcun modo sull’idoneità ad assumere ed esercitare tale responsabilità. Due genitori dello stesso sesso, ove legalmente riconosciuti tali, hanno gli stessi doveri verso il figlio di una coppia di genitori di sesso diverso. Risponde anzi all’interesse del minore – principio cardine tanto del diritto interno quanto di quello internazionale – essere riconosciuto come figlio sia della madre biologica (che lo ha partorito) sia della madre intenzionale, che ha condiviso l’impegno di cura nei suoi confronti. Il diritto del minore a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori è espressamente sancito già a livello di legislazione ordinaria, ad esempio dall’art. 315-bis c.c. (che tutela il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente da entrambi i genitori) e dall’art. 337-ter c.c. (che valorizza il rapporto equilibrato e continuativo del minore con ciascun genitore). Inoltre, numerose fonti sovranazionali ribadiscono tale principio, dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (art. 3) alla Carta dei diritti fondamentali UE (art. 24), evidenziando come in tutte le decisioni relative ai bambini il superiore interesse di questi ultimi debba avere considerazione preminente. Centralità del minore e uguaglianza dunque convergono: il bambino, indipendentemente dal tipo di famiglia in cui nasce, ha diritto a godere della presenza e cura di tutti i suoi genitori legali, senza discriminazioni.

In quest’ottica, la finalità stessa del congedo di paternità – introdotto per favorire la presenza del secondo genitore nei primi giorni di vita del figlio – deve valere anche nella coppia di madri. La provvidenza in questione risponde, infatti, all’esigenza di garantire un adeguato periodo di cura al neonato, modulando il tempo di lavoro in funzione dei doveri genitoriali e di una migliore organizzazione familiare. Si tratta di un’esigenza funzionale alla genitorialità che è identica nelle coppie omosessuali ed eterosessuali. Di conseguenza – conclude la Corte – è del tutto logico e possibile individuare nelle coppie omogenitoriali femminili una figura equiparabile a quella paternapresente nelle coppie uomo-donna. Nello specifico, all’interno di una coppia di madri si possono distinguere la madre biologica (colei che ha partorito) e la madre intenzionale, che ha condiviso l’impegno di cura e responsabilità verso il nuovo nato e vi partecipa attivamente. A quest’ultima spetta dunque lo stesso trattamento garantito finora ai padri biologici, ovvero il congedo obbligatorio di 10 giorni retribuiti. Negare questo diritto solo perché il genitore richiedente è di sesso femminile costituisce – come ora sancito – una inammissibile discriminazione basata sul genere e sull’orientamento sessuale, incompatibile con l’art. 3 della Costituzione.

Verso il pieno riconoscimento delle famiglie omogenitoriali

La sentenza in commento si inserisce in un quadro giurisprudenziale in rapida evoluzione, che negli ultimi anni ha progressivamente esteso tutela e riconoscimento alle famiglie composte da due genitori dello stesso sesso. Già in passato la Corte Costituzionale aveva evidenziato le lacune dell’ordinamento su questi temi: emblematicamente, con l’ordinanza n. 32/2021, la Consulta denunciò il «vuoto di tutela» in cui versavano i figli di coppie omogenitoriali femminili nati da fecondazione eterologa, i quali si trovavano “in una condizione deteriore […] solo in ragione dell’orientamento sessuale” dei genitori, rischiando di restare giuridicamente legati ad un solo genitore nonostante l’esistenza di un rapporto effettivo con l’altra madre. In quella sede la Corte – pur sollecitando l’intervento del legislatore – scelse di non dichiarare incostituzionali le norme allora impugnate, ritenendo preferibile una riforma organica da parte del Parlamento. Tale riforma, tuttavia, non è mai arrivata, e i giudici si sono trovati nuovamente investiti della questione attraverso casi concreti.

Nel 2021 e 2022 alcuni pronunce della Corte di Cassazione avevano già aperto la strada al riconoscimento della doppia genitorialità: ad esempio, è stata ammessa la trascrizione integrale in Italia dell’atto di nascita formato all’estero da cui risultino due madri (Cass. civ. n. 23319/2021) parimenti, si è consentita la stepchild adoptionin casi particolari per il partner dello stesso sesso (Cass. SS.UU. n. 9006/2021). Più recentemente, la Cassazione ha rimesso alla Consulta la questione del riconoscimento della madre intenzionale per i bambini nati in Italia da PMA effettuata all’estero, questione decisa poi dalla stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 68/2025. Con tale importante pronuncia (depositata il 22 maggio 2025), la Consulta ha infatti dichiarato incostituzionale l’art. 8 della legge 40/2004 (Norme sulla procreazione medicalmente assistita) proprio nella parte in cui impediva il riconoscimento, sin dalla nascita, dello status di figlio anche nei confronti della madre intenzionale che abbia condiviso il progetto di PMA insieme alla madre biologica. In motivazione, la Corte ha affermato che l’attuale impedimento al riconoscimento immediato della doppia maternità non garantiva il miglior interesse del minore e violava vari precetti costituzionali: l’art. 2 (per lesione dell’identità personale del nato, privato di uno status genitoriale certo e stabile con riferimento a una delle due madri); l’art. 3 (per l’irragionevolezza di una esclusione fondata unicamente sull’assenza di un controinteresse di pari rango); l’art. 30 (perché il figlio veniva privato del diritto di vedere riconosciuti sin dalla nascita i propri diritti nei confronti di entrambi i genitori). La Consulta ha ribadito in quella sede due principi fondamentali: da un lato, quando due persone decidono insieme di avere un figlio tramite PMA, assumono una responsabilità comune dalla quale nessuno dei due può poi sottrarsi, men che meno la cosiddetta madre intenzionale; dall’altro, è centrale l’interesse del minore a vedere riconosciuto un legame giuridico con entrambe le figure genitoriali che hanno voluto la sua nascita. Non riconoscere tale legame fin dalla nascita lede l’identità del bambino e pregiudica l’effettivo esercizio dei suoi diritti a essere mantenuto, educato, amato da entrambi i genitori.

Alla luce di queste evoluzioni, la decisione n. 115/2025 qui esaminata appare come un ulteriore tassello verso la piena equiparazione dei diritti tra famiglie omogenitoriali e famiglie tradizionali. Grazie a essa, il quadro giuridico italiano compie un passo in avanti: una volta che una coppia di donne risulta legalmente genitrice di un minore (sia tramite la trascrizione di un atto estero, sia – dopo la sentenza n. 68/2025 – tramite il riconoscimento immediato anche per nati in Italia), nessuna delle due madri potrà essere esclusa dalle tutele parentali previste dalla legge, ivi incluso il congedo di paternità obbligatorio. Da ora in poi, l’INPS e i datori di lavoro dovranno adeguarsi: non sarà più lecito rifiutare o impedire la fruizione del congedo alla madre non partoriente, e gli stessi sistemi informatici andranno aggiornati eliminando i riferimenti eteronormativi che finora costituivano un ostacolo burocratico.

Permane, va detto, qualche asimmetria residua sul piano della genitorialità omosessuale: la situazione delle coppie di padri, legata al tema più complesso della gestazione per altri, non è stata toccata da queste pronunce. In Italia, infatti, un bambino nato da due padri tramite surrogazione di maternità all’estero non vede riconosciuta automaticamente la doppia paternità – stante il divieto di tale pratica – se non attraverso l’adozione in casi particolari ex art. 44, co. 1, lett. d) l. 184/1983 Questo significa che, allo stato attuale, in una coppia di uomini solo il padre biologico è legalmente genitore fin dalla nascita, mentre il partner potrà acquisire tale status solo dopo un iter adottivo: una differenza che incide anche sui congedi (il secondo papà non avrà diritto ad un congedo analogo nei primi giorni di vita del figlio, non essendo ancora riconosciuto come genitore). Si tratta di un ambito distinto, che la stessa Corte ha considerato meritevole di un approccio a parte, e che resta in attesa di futuri sviluppi legislativi o giurisprudenziali.

Considerazioni finali

La pronuncia della Corte Costituzionale n. 115/2025 costituisce un passaggio storico verso una maggiore inclusività del diritto di famiglia italiano. In un tono divulgativo, potremmo dire che finalmente l’ordinamento riconosce come genitore a tutti gli effetti chi, pur non avendo legami biologici con il bambino, ne ha condiviso e voluto la nascita ed è disposto a prendersene cura sin dai primi istanti di vita. Ma, al di là della portata simbolica, vi è un concreto impatto pratico: la madre intenzionale potrà stare accanto al neonato nei giorni immediatamente successivi alla nascita, beneficiando di un congedo retribuito, e ciò andrà a beneficio non solo della madre stessa ma soprattutto del bambino, che potrà ricevere cure e attenzioni da entrambe le sue mamme. Si rafforza così la tutela del minore, ponendolo davvero al centro, e si rimuove un ostacolo che pesava sulle coppie omogenitoriali femminili nella conciliazione tra lavoro e vita familiare.

Come professionisti legali, rileviamo con soddisfazione come la Consulta abbia saputo bilanciare i valori in gioco, affermando un principio di parità di trattamento conforme all’evoluzione sociale in atto. Questa decisione dà attuazione piena, sul piano interno, ai principi di non discriminazione e di uguaglianza sostanziale, andando persino oltre il minimo richiesto dal diritto UE (che, come visto, lasciava agli Stati margine di scelta in materia). Viene altresì confermata la linea già tracciata da altre sentenze recenti: il diritto non può più ignorare le nuove forme di genitorialità, perché farlo significherebbe danneggiare i bambini coinvolti, negando loro protezioni fondamentali per ragioni puramente formali.

In conclusione, questa sentenza colma un gap normativo importante e allinea il nostro ordinamento a una visione più inclusiva della famiglia, in cui ciò che conta è la realtà degli affetti e delle responsabilità condivise, non il genere o il legame biologico dei genitori. Si spera che il legislatore, raccogliendo il segnale, intervenga quanto prima per armonizzare la disciplina e offrire certezza giuridica a tutte le famiglie omogenitoriali, così da evitare il proliferare di contenziosi e garantire, una volta per tutte, quella eguaglianza e tutela dell’interesse del minore che la Corte Costituzionale ha così chiaramente posto in luce.

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